17 novembre 2013

Kovacic e il paragone con Pogba: ecco perchè Mateo non si è ancora consacrato



La conferma e la consacrazione di Paul Pogba alla Juventus ci induce, anche con un pizzico di sana invidia (sportiva), ad assistere sempre più curiosi alle prestazioni, fin’ora straordinarie, di questo ragazzone dalle spalle larghe, alto due metri, sfacciato il giusto, ma dalle qualità e dalle doti insospettabili ed indiscusse, da assoluto fuoriclasse del calcio.

Scaricato incomprensibilmente da Alex Ferguson agli sgoccioli della sua avventura nelle vesti di manager del Man Utd,  lo sbarco a Torino del centrocampista francese sta facendo in tutto e per tutto le attuali fortune di Antonio Conte, sul campo, e di  Marotta fuori, il regista di un acquisto stupefacente; e, nondimeno, di apparire a tutti gli effetti come un vero e proprio genio del mercato perchè autore di un colpo da premio Oscar, che, seppur poco celebrato, si sta rivelando un affarone, sotto ogni punto di vista.
L’accento posto in apertura su Pogba è funzionale ad introdurre le nostre considerazioni sulla parabola, per il momento non proprio analoga a quella del francese in bianconero, del suo collega, più sfortunato, meno maturo, ma di certo non meno talentuoso, in nerazzurro: Mateo Kovacic. E mentre a Torino si stanno godendo i replay di un gol da urlo, come quello siglato dal francese al Napoli, i tifosi nerazzurri si chiedono con insistenza, e un pizzico di delusione, che fine abbia fatto il calciatore brillante e imprendibile dei primi mesi nella Milano interista.
Nell’analisi ai motivi per i quali spesso ci poniamo questo interrogativo, non possiamo però prescindere da un’accurata visione d’insieme di ciò che è accaduto a Mateo da quando ha messo piede ad Appiano Gentile, facendo un breve riassunto dei suoi dieci mesi, a partire da quel gennaio del 2013.
L’inizio a Milano. Il percorso intrapreso da Kovacic in quel freddo inverno di un anno fa, prese una piega sicuramente positiva per il giocatore fin dalle battute iniziali, in quanto, pur dovendosi piegare alle necessità del tecnico di allora (Stramaccioni) di adattarne le caratteristiche per avere un playmaker a centrocampo, di un giocatore in grado di fare gioco in mezzo e di dare spunto e imprevedibilità ad una manovra spesso sterile e priva di alternative di gioco (che non fosse la giocata di Cassano), e pur non essendo quella probabilmente la collocazione ideale del croato, tutto questo gli ha concesso l’opportunità di emergere in un contesto difficoltoso per certi versi, ma più agevole per altri, ovvero in assenza di una vera e propria concorrenza nel ruolo e di obiettivi concreti da raggiungere che ne hanno facilitato l’inserimento.
L’”equivoco”. La risposta a dir poco stupefacente fornita da Mateo sul campo dopo circa un mese dal suo arrivo in nerazzurro (e dopo qualche infortunio e qualche partita passata mestamente in panchina), dunque in tempi brevissimi, più che sorprenderci, ci ha esaltati, soprattutto perchè nella povertà tecnica di una squadra smembrata e non adeguatamente rinforzata in estate, privata inaspettatamente diWesley Sneijder dopo una querelle imbarazzante durata 6 mesi, l’esplosione di Kovacic ha rappresentato una sorta di piccola rivincita, o meglio, una speranza, forse l’unica, che, nel disastro generale di pochi mesi fa, ci regalava la certezza di avere in rosa il fuoriclasse del futuro.
Le aspettative. L’immediato adattamento del croato alla causa nerazzurra ci ha indotti (probabilmente a torto) a pensare che, nell’anno della auspicata rinascita dell’Inter in ambito sportivo, questo fosse, in parallelo, l’anno ideale per assistere alla consacrazione definitiva di un talento che, in realtà, avrebbe dovuto affrontare una serie di problematiche più complesse: la metabolizzazione una nuova idea di gioco, la ricerca di una nuova collocazione tattica, una concorrenza sicuramente più agguerrita e rigenerata dall’arrivo di un nuovo allenatore. Le difficoltà che sta incontrando Kovacic sono dunque da circoscrivere all’interno di un processo di crescita di più lungo e ampio respiro, al quale serve pazienza, ma che non riducono la bontà dell’investimento di ben 13 milioni di euro. E l’uso col contagocce che sin qui ne sta facendo Mazzarri non è sintomo di sfiducia tout court nei confronti dei mezzi del ragazzo, ma risponde alla necessità di tutelare un calciatore che, oltre che a rappresentare un patrimonio del club, non sta vivendo un periodo del tutto felice, come talvolta accade non di rado ai calciatori di questa età.
Il parallelo con Pogba. Il confronto, in tal senso, stona soprattutto per il differente contesto tecnico, ambientale, societario in cui i due ragazzi hanno lavorato per affrontare il salto nel grande calcio: se il francese infatti ha potuto lavorare al fianco di grandi campioni, all’ombra dei Pirlo e dei Vidal, senza particolari pressioni (dovute ad un arrivo poco “reclamizzato”, ad una rosa lunga e di qualità), guidato da un allenatore che ha saputo centellinarne le apparizioni e, in generale, perché inserito un contesto fortemente organizzato e disciplinato, Mateo invece, giunto a Milano con le stimmate del predestinato,  sta vivendo una doppia vita, in bilico tra ciò che è stata la sua breve, ma intensa, esperienza con Stramaccioni, quasi da leader (inconsapevole) di un gruppo allo sbando, e quella che al momento sta caratterizzando il suo secondo anno a Milano, più in sordina. In attesa che diventi un campione.

Fonte: footballscout24.it

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